giovedì 22 ottobre 2009

No "no impact"

La settimana a impatto zero sta andando maluccio. Per il momento sono stata forte solo sul fronte trasporti: lavoro da casa, abito in centro e mi piace camminare e fare le scale. Per il resto...

Niente shopping, voto 8. Ho cercato di tener fede alla mia promessa di non comprare roba, e ho ceduto solo mercoledì, giorno 4 della settimana a impatto zero, per acquistare una chiavetta Usb da 8 giga. Un acquisto incongruo? Beh, almeno non era l'ennesima borsa. Nello stesso negozio però ho anche cercato invano di far riparare la mia macchina fotografica digitale che ha lo schermo rotto ma non ci sono riuscita. "Mannò signora, lo schermo è la parte che costa di più. Ripararla costerà sui 150 euro, a quella cifra se ne compra una nuova di gamma più alta". Ma perché ripararla costa 150 euro? Perché sennò poi non te ne compri un'altra! Io non l'ho comprata e resto con la mia digitale con cui scatto guardando nel mirino ottico e poi non posso rivedere le immagini, più low tech di così...
Riduzione dei rifiuti, voto 4 Ho una sporta piena di spazzatura che campeggia accanto alla mia scrivania. Sta lì a ricordarmi che come ambientalista faccio schifo perché produco decisamente troppa rumenta. E non ho conservato quella organica (per paura che mio marito mi denunciasse ai Nas). Si tratta di bottiglie, vasetti, confezioni, involucri, giornali, tutta roba che adeguatamente separata, pulita e portata nelle apposite campane si può riciclare, ma il concetto è che sarebbe stato meglio non produrla, non usarla. Cosa ho imparato? La birra alla spina è ecologica, il prosciutto preincartato della Coop no.
Mangiare solo cibo locale, voto 5 E' vero non mi sono sbattuta come avrei dovuto, ma al mercato su 50 banchi solo tre avevano qualche striminzita verdurina coltivata nella mia regione (lattuga e cavolo nero che ho prontamente acquistato). L'unica frutta locale erano dei fichi rugosi grandi come olive saclà che costavano la bellezza di 8 euro al chilo: ho lasciato perdere. Ho controllato anche al supermercato e vi assicuro che c'è da mettersi le mani nei capelli. Passi per le banane che ovviamente crescono solo nei paesi tropicali, e per i kiwi che arrivano dalla Nuova Zelanda. Ma le arance dal Sud Africa e i pomodori dall'Olanda?
Risparmio energetico, voto 5 Ho cercato di evitare di accendere il computer prima che mi servisse davvero. Prima ho letto i giornali, dato un'occhiata a del materiale di lavoro che avevo stampato, (acc! ma non si deve stampare... come ti muovi sbagli), fatto un paio di telefonate e solo dopo ho acceso il pc.
Ho cercato di calibrare al meglio l'uso del riscaldamento domestico e ho finalmente capito perché Mastro Ciliegia aveva il naso rosso: non era il vino, risparmiava sulla stufa.
Per quanto riguarda il mio frigo, di cui chi segue questo blog sa già fin troppo, è un americano doppia porta. E' di classe energetica A ma sospetto che consumi quanto uno Shuttle. Lavatrice e lavastoviglie oggi, giorno dedicato al risparmio energetico, sono state ferme. Ma stanno solo prendendo la rincorsa per marciare a tutta birra appena l'embargo sarà finito.

Venerdì tocca al risparmio idrico A non sprecare l'acqua mi sto allenando da parecchio, ma certo che lavarsi i denti usandone un solo bicchiere rappresenta pur sempre una sfida interessante.
Sabato sarà la volta del volontariato: bisogna fare qualcosa per la comunità.
E domenica? Ci si riposa e si cerca di fare (e impattare) il meno possibile.

Per partecipare: No Impact Project

Foto: Flickr.

mercoledì 14 ottobre 2009

Basta roba!



L’imperativo è decrescere. E come è vero che l’incoraggiamento necessario per farlo arriva dalla necessità! Intendiamoci, non è che non si voglia contribuire al bene del pianeta in maniera del tutto disinteressata, per carità. Ma mentre la crisi economica si fa sentire forte e chiara, il cambiamento climatico (anche se a ottobre si schiatta ancora di caldo) è leggermente meno pressante per chi non abita su un isolotto in mezzo all’oceano.
Le cose da fare sono quelle che ormai tutti conosciamo: consumare meno energia, riciclare i rifiuti, risparmiare acqua, comprare meno cibo confezionato, precotto, proveniente dall’altra parte del mondo, usare mezzi di trasporto sostenibili (piedi, bici, mezzi pubblici), volare meno…

Okay, ma come la mettiamo con la roba? Sì la roba, la roba, quella che ti chiama dalle vetrine, quella che i negozi ti tirano dietro perché c’è sempre meno gente che ha i soldi per comprarla, quella che ti porti a casa nel sacchetto e ti senti una persona migliore per cinque minuti. Quella roba lì inquina anche lei. L’hanno prodotta (probabilmente sfruttando manodopera a basso costo in qualche sweatshop del terzo mondo), tinta, riempita di sostanze chimiche, impacchettata, trasportata e poi ce la danno a noi a un prezzo X, che non tiene in alcun conto le emissioni prodotte per fabbricarla. Io di roba così ne ho a pacchi a casa mia e scommetto anche voi. Solo nel mio armadio ce n’è per anni.
Appunto, dico. Ma che, sono scema a comprarmene dell’altra? Quindi comincia qui il mio cammino anti-consumistico: non voglio comprare più roba. E sai che bel risparmio! Lascio fuori il mangiare e il bere, i farmaci e le cose essenziali per la creatura (urge un maglione per l’inverno, alle scarpe abbiamo già provveduto). Tutto il resto non mi serve. Ho libri a sufficienza per aprire una biblioteca, manco una libreria. Se non compro libri per i prossimi dieci anni potrò finalmente leggere tutti quelli che ho acquistato nei passati dieci: come credete che abbia fatto Feltrinelli a pagarsi quel supermegastore che ha aperto nel centro di Genova?

Ecco, è così che immagino la vecchiaia, un lungo inverno al caldo senza comprare nulla. Dovrò prevedere una deroga per la Settimana enigmistica.

Che poi di questi tempi non comprare è l'unico atto davvero sovversivo. Almeno a giudicare dal clamore che ha suscitato in America la proiezione nelle scuole del video che trovate in fondo al post (diviso in tre parti con sottotitoli in italiano), che ripercorre in maniera piuttosto didattica e con piglio ecologista la "storia della roba", appunto.

Glenn Beck, commentatore del canale Fox, una via di mezzo tra giornalista e intrattenitore, una specie di Dave Lettermann di destra, ha riempito intere trasmissioni di commenti sbalorditi all'idea che ai bambini americani possano venir dette cose tutto sommato banali: comprare non è un valore, gli oggetti sono fatti per diventare presto obsoleti, lavoriamo sempre di più per comprare sempre più roba e nel poco tempo libero rimasto guardiamo la tv che ci incoraggia a comprare ancora ecc, ecc...

A partire da domenica proverò l'esperimento No Impact week: una settimana passata a cercare di raggiungere l'impatto zero. Penso che quando arriverà il "giorno senza lavatrice", in cui bisogna fare il bucato nella vasca da bagno pigiandolo con i piedi, ci sarà da piangere. Ma ormai ho preso l'impegno. Quanto all'intento di non comprare roba, beh, spero di protrarlo oltre la settimana. Ma sono cauta, come quando avevo appena smesso di fumare e mi mancava il coraggio di proclamare: non fumerò mai più...

Foto: Flickr


The story of stuff






Glenn Beck commenta il documentario "Story of stuff"