venerdì 11 novembre 2016

La conta degli anni


L'età anagrafica non conta, gli anni veri sono quelli che ti senti. Avvicinandoti ai 40 però un po' di angoscia ti viene, per non parlare di quando li superi. Quest'anno credo di essere entrata nella fase di accettazione, che dopo negazione, rabbia, contrattazione e depressione conclude serenamente il ciclo psicologico del lutto che rappresenta non essere più giovani. Ognuno ha un suo monologo interiore costante e un'immagine di sé anch'essa piuttosto costante. La mia oscillava tra la me stessa di 7 anni e quella di 16. Ci sono ancora entrambe, lì da qualche parte, ma ad esse si è affiancata stabilmente una signora coi capelli tinti, la voce lievemente arrochita dagli anni e delle linee disegnate orizzontalmente sulla fronte.

Segnali dell'avvenuta metamorfosi. Alle 11 di sera ho sonno; mi piacciono i cardigan; guardo i ventenni per strada e penso "quanta roba ti tocca ancora fare"; curo i fiori in terrazzo; metto ordine per calmare l'ansia; comincia a interessarmi la cronaca locale; guardo i bambini per strada e penso "tesoro!"; davvero; di tutti i bambini sotto i 10 anni; la sera non metto mai la crema antirughe, troppo sbattimento: sarà per quello che non fa effetto; i negozi di vestiti per ragazzine mi fanno venire il mal di mare; mi piace stare in poltrona a leggere con la luce soffusa; tengo il portone aperto per gli anziani e quando mi ringraziano rispondo "s'immagini"; le ragazze mi sembrano tutte belle; mi piaccono le coppie giovani innamorate; ho amicizie ventennali; sono contenta quando nei negozi mi danno del tu; su alcuni argomenti non ho un'opinione quindi non mi esprimo.

Tristezza, rassegnazione? Quello che provo in realtà è sollievo, il fatto di invecchiare non è più una novità, quindi ha perso l'importanza che aveva fino a qualche anno fa. Adesso posso di nuovo guardare avanti serenamente, e cominciare una nuova conta, quella dell'età di mio figlio. Oggi per esempio compie 13 anni e la cosa non mi suona né incredibile né terrorizzante. Svegliandomi stamattina non ho pensato "o mio Dio sembra ieri che partorivo", perché non sembra ieri, sembrano passati proprio 13 anni. Lo guardo e non mi dico "il mio bambino è diventato un ragazzo", perché in lui ci sono ancora tutti e due (e sappiamo che ci resteranno a lungo, anche quando li raggiungerà un tizio brizzolato con la pancetta, a tempo debito) e io li conosco entrambi.

Lui cambia e cambio anche io e cambia il nostro modo di rapportarci, di stare insieme, di divertirci, ma il nostro rapporto è una costante e io non posso invecchiare ulteriormente rispetto a lui, ci separeranno sempre gli stessi anni. E io lo avrò sempre visto nascere, crescere, sbrodolarsi con la minestrina, scrivere delle effe raccapriccianti, fare le pernacchie con le ascelle e avere paura di salire sul brucomela al Luna Park, ma non glielo farò pesare. Lui mi avrà vista incacchiata come una iena per qualche sciocchezza, stanca di aspettare che si addormentasse alla sera, commossa come una mammoletta per futili motivi, troppo emozionata quando non era il caso e non me lo farà pesare.

Questa estate abbiamo guardato insieme l'intera serie di Lost e sento che si è trattato di un'esperienza fondante che ha contribuito a segnare la transizione del rapporto da mamma-bambino a persona-persona. A lui piaceva Kate, a me piaceva Sawyer e le puntate in cui non comparivano i nostri beniamini fighi le schifavamo un po'. L'ultima avvenutura nella quale ci siamo buttati ha avuto inizio una decina di giorni fa: ora lui mi dà lezioni di chitarra. Finalmente può dirmi cose come "però se non ti eserciti un po' da sola è inutile", oppure, "sì, sei bravina ma non cercare di strafare, suonala lentamente", o ancora "adesso fammi un bel DO, poi molla e adesso rifammi un bel DO". E io penso: sì quando sarà il momento sarò contenta se quest'uomo così competente parlerà con i miei medici in merito alle decisioni sul fine vita.

Un filo melodrammatica, è un'altra delle cose che sono diventata dopo i 40.