domenica 28 settembre 2008

La consapevolezza dell'ape

- Le mosche pungono? 
No. 
- I moscerini pungono? 
No. 
- Le zanzare pungono? 
Sì. 
- Le api pungono? 
Sì. 
- Ma esistono le api? 
Certo che esistono, non è mica come i fantasmi o le streghe che fanno paura ma sono solo invenzioni. Le api esistono, ma comunque in città ce n'è poche (sic!).
-E perché ce n'è poche?
Perché vanno dove ci sono i fiori. Tu ne vedi tanti di fiori nei vicoli sotto casa?
- No, ma pungono? ...AD LIBITUM...

Mio figlio è in quella fase della vita (per me è terminata una ventina di mesi fa), in cui vorrebbe avere la matematica certezza che non gli succederà assolutamente mai niente di brutto. In particolare è fissato con gli insetti pungenti e soprattutto con le api. In pratica lui vorrebbe che venissero sterminate, come io topi, scarrafoni e piccioni, o almeno che esistessero in posti come il bosco di Winnie Pooh o il Madagascar (per lui entrambi sinonimo di cartone animato) e che non vi fosse per lui alcuna possibilità di incontrarne una, né ora né mai in futuro.

Cerco di rassicurarlo sul fatto che un incontro è improbabile, che anche incontrandone una, prima che questa lo punga lui deve farla proprio grossa, darle fastidio eccetera e poi, non vedendolo ancora convinto, gli dico. "Ma vuoi sentire cosa ti fa una puntura di ape? Così ti rendi conto che se anche succedesse non è mica la fine del mondo".
La sua risposta è no, ma capisco che è curioso, sicché gli do un pizzico con l'unghia sul braccio e lui urla: "Fa male!". Sì, gli rispondo io, ma dura un secondo.
E poi calo l'asso. La storia del pungiglione e della povera apina che muore perdendolo e che quindi non le conviene perdere tempo a pungere te ecc. ecc. ecc.
La sua domanda successiva è pertinente e pragmatica: "Sì, ma l'ape lo sa che muore?".

Immagine: Flickr

giovedì 25 settembre 2008

La lezione del tempo perso

Ma su, andiamo, ma come devi stare per passare del tempo, anche poco, all'interno di un mondo virtuale dove in sostanza non c'è una missione e non succede un bel niente, e dove ogni tanto girellando incontri i resti di quelli che si sono appena scollegati sotto forma di avatar pietrificati mentre fanno la gobba (vero Leo?). Dicevo, come si fa? Sì, ci sono stata su Second Life, sono salita su una specie di jeep, ho fatto due giri, incontrato qualcuno che mi ha apostrofato con commenti ineleganti, schivato come potevo qualche povero gobbino e poi mi sono trasformata in gobbina io stessa scollegandomi dal gioco.
Losers! Perdenti!.
Attenzione, questa è la storia di una redenzione, perciò se siete fan di Second Life continuate a leggere.
E che dire di quelli che passano buona parte del loro tempo libero (ma forse tutto il loro tempo è privo di impegni) a reinventare e riscrivere le storie dei loro personaggi preferiti, di tv, cinema, libri, fumetti e così via? Si chiama fan fiction e ha ormai dignità di genere letterario a sé, "popolare" e "democratico" perché si fa online, gratis e senza limiti posti alla fantasia.
Riscrivere la storia dei Pirati dei Caraibi? Non proprio, magari continuarla, cambiarla, aggiungere episodi, buttar dentro nuovi personaggi... Lo fanno ragazzini di 10-12 anni con Harry Potter e imparano in questo modo ad amare la scrittura oltre che la lettura. Il che li rende sicuramente più acculturati e intraprendenti di come ero io a quell'età (con buona pace di Gerald Durrel, della sua famiglia e degli altri animali).
Insomma attenzione, qui si schiude un universo di consapevolezza che porta dritto dritto alla rivalutazione di tutti i "passatempi" che io avrei bollato come idioti non molto tempo fa. E poco importa che io non abbia voglia di dedicarmici in prima persona.
Non ho voglia di creare un organismo monocellulare, che poi diventa una creaturina primordiale, che si trasforma in una specie di anfibio, che poi si sviluppa fino a conquistare il cosmo. Ma non c'è dubbio che Spore rappresenti un'evoluzione del videogioco che ha del magico e sicuramente anche una forte componente educativa. Certo, poi i giocatori sono dei burloni, perciò nella demo messa online qualche tempo fa la gente si è sbizzarrita sostanzialmente a costruire diverse varianti di, come posso dire?, falli. Ma l'idea è buona. Forse molto buona.
Possiamo imparare da quello che facciamo come riempitivo/divertimento/esperimento?
La risposta è sì. Possiamo imparare da ogni cosa, anche da una bufala come Second Life, che è partito come virtual social network presunto "fico" per diventare di tutto: centralina di e-commerce, piattaforma di e-learning, ambiente di riabilitazione per persone affette da disturbi della socialità.
Sicuramente il tempo che perdiamo girovagando su internet tornerà utile domani sotto forma di maggiori conoscenze, contaminazioni di idee, consapevolezza, partecipazione. E, ci perdoni l'indimenticato Gaber, oggi lo si può fare anche sopra un albero.
Del resto non è forse vero (o almeno così vogliono farci credere) che le migliori idee partorite da Google, Chrome incluso, sono state pensate dai dipendenti nel 20% del tempo che viene loro pagato per non fare assolutamente niente se non "cazzeggiare"?
Mi ha interdetto un po' constatare che in sostanza abbiamo riconquistato il tempo perso. Oggi perfino il gameboy è diventato utile e la Nintendo Ds è ormai oggetto culto dei quarantenni. Li vedi sui treni, che si affannano a pigiare forsennatamente coi pollici sulle loro console portatili e pensi: "Poveretto, non ha più l'età per Donkey Kong" e in realtà stanno ripassando le tabelline e mettendo in ordine decrescente infinite serie di numeri primi per mantenere giovane il cervello. "Adesso", ho pensato, "toccherà trovare un nuovo modo per sprecare ore preziose delle nostre vite". Poi è arrivata Facebook.
Sempre sia lodata.

Foto: Flickr

lunedì 22 settembre 2008

Backup

Arriva per tutti il momento di conservare i ricordi in un posto sicuro. Il casino non è tanto dove, ma cosa. Il 90% di quelli che oggi fanno un backup dei file conservati sul computer sostanzialmente vuole mettere al sicuro le foto delle vacanze. Sono tra quelli, ovviamente. C'è però anche una serie infinita di documenti (più che altro file di testo) che vanno dalla lista dei regali di Natale all'ultimo pezzo scritto, che in qualche modo sento di dover salvare per i posteri. Ma quanto pattume si nasconde tra le pallide cartellette che affollano il cartellone Documenti?
Voglio davvero salvare tutto o questa è l'occasione per buttar via un po' di roba inutile e limitare l'impatto? In realtà ho comprato un hard disk da 1 Terabyte (1000 GB) proprio per non dovermi fare questa domanda. Però tant'è il backup non l'ho ancora fatto ma ho invece cominciato a dare un'occhiata alle cartelle dai titolo più oscuri per capire che caspita ci sia dentro.
Che posso dire? Voi non fatelo!
Il mio orgoglio di giornalista free-lance trema, ma devo pormi la domanda: perché ho un file che si intitola "Proposte per tutti"? E perché con tutto l'arretrato che ho, la cartelletta "Da fare", creata chiaramente in un momento di stress, risulta vuota?
Vabbè. Tra le macerie è emersa, con l'insospettabile titolo "Testi", anche quella che definirei una chicca, che risale a circa un anno e mezzo fa.
Eccola.

Ieri sono andata al concerto di Luca Carboni con Silvia e mi sono chiesta: che cosa ne è stato degli ultimi quindici anni? Stavo facendo mangiare Leonardo a pranzo e gliel’ho chiesto di botto: Che cosa ho fatto negli ultimi quindici anni? Non ha detto niente, come fa quasi sempre quando non capisce la domanda.
Sono stata davvero così lontana da me? Oppure la persona che ero ora non c’è più? Eravamo femmine adolescenti, carne da macello per cantautori di serie B, mezze donne perennemente imperfette senza la carità di un’estetista, avevamo paura di tutto e nessuna certezza dei nostri mezzi, vivevamo di stenti emotivi e volevamo farci stringere tra braccia forti, nuove.
Qualcuno aveva un’idea della verità e ce ne avrebbe parlato. Nell’attesa ci dovevamo accontentare di sentircele cantare da Carboni, o chi per lui.

Oggi abbiamo 33 anni e ci emozioniamo a sentirgli ragliare: “Chissà se tu sei cambiata, chissà dove sei finita, in questo lampo di vita, chissà se sei stata amata. Chissà se quella ferita, chissà se poi è guarita, in questo lampo di vita, chissà se ti sei salvata…”.

Ci mancano le due sedicenni che eravamo. Sfigate, pulite, ignare, potenti di tutta la vita che avremmo di botto vissuto a un certo punto. Sì, ci saremmo tuffate nelle acque ghiacciate un giorno, e la vita vera ci avrebbe investito come un tram carico di possibilità. E in fondo non è questo il tema della canzone che Carboni continua a cantare da vent’anni? Tutto può cambiare, anzi, ho paura all’idea di non cambiare. Tutto può ancora succedere. Però, l’ho notato per la prima volta al concerto, c’è un altro tema-chiave, che ritorna e ritorna. Quello del “siamo ancora tutti bambini”: la neve è sempre una novità, facciamo i dribbling allo specchio, ci ricordiamo la mamma che stirava in cucina, e da bambino sognavo di fare il benzinaio... Mi verrebbe da urlargli “È LA VECCHIAIA, LUCA!”

Oggi ho osservato Leonardo mentre giocava in cortile e ho avuto una stretta al cuore pensando che deve ancora patire tutto, che la vita deve ancora ferirlo, e che sta cominciando a portare un peso che a me sembra per lui già eccessivo. Lo vedo sguarnito, esposto, fragile. Ha tre anni e io so che soffrirà. E poi sentirà una nostalgia lacerante di quando pensava di soffrire. Deve ancora vivere interamente il ciclo. Deve ancora diventare bruttissimo e desiderare ardentemente un contatto fisico con persone che lo respingeranno. Deve ancora pensare di non avere speranza e poi farsi il culo per realizzare qualcosa. E arrivare un giorno a star seduto in un teatro pieno di gente che non gli assomiglia a farsi spiegare la vita da un cantante che si vergogna di ascoltare.