venerdì 13 febbraio 2009

Si è avverato un sogno. Anzi no, è un incubo!


Io sono un tipo da spesa. Mi faccio largo nelle corsie del supermercato, tiro giù roba con un occhio alla lista e una mano sulla pancia per sedare la fame. Riempio il cestello all'inverosimile (ma mai una volta che mi rassegni subito al carrello) e quando è zavorrato con almeno quattro bottiglie (olio, latte, vino, bibita alle fibre gusto mango, acchiappata al volo come contrappasso dietetico ai tomini da piastra e alla collana di salamini volatimi in grembo non si sa come), so che siamo al limite dell'intrasportabile e che mi spingerò molto oltre.
A volte alla cassa mi chiedono se mi serve il timbro sullo scontrino per il parcheggio e io rispondo con un sorriso vagamente ebete: "no grazie, sono a piedi". Il tragitto fino a casa consiste in una solitaria olimpiade di sollevamento pesi. Potevo mai lasciare nel banco frigo la nuova confezione da 10 di Actimel alla fragola senza zucchero? E la mezza dozzina di birre senza glutine? E l'ammorbidente in superofferta nella pratica damigianella da otto litri? Naaaa.
Nelle pause che mi servono per evitare che le braccia mi si stacchino dalle spalle rotolando scompostamente giù per i vicoli, approfitto per sbirciare un po' di vetrine dei saldi. E' il momento migliore per evitare di cadere in tentazione.: nelle sporte che ho appoggiato per terra il burro si irrancidisce a vista d'occhio e con la fronte appiccicata a una vetrina di scarpe l'odorino del taleggio in offerta non ispira acquisti pazzi.
Poi arrivo al portone di casa e mi attacco al citofono come l'alcolista al collo dell'ultima bottiglia di whisky prima dell'inizio del proibizionismo: 47 scalini con quattro borse da 7 chili l'una sono fuori discussione, piuttosto mi faccio una fonduta all'ammezzato e non se ne parla più.

L'altro giorno però la mia amena routine di consumatrice troppo ingorda e troppo poco muscolosa ha inciampato in un imprevisto. All'arrivo alle casse mi rendo conto che soltanto due sono presidiate da esseri umani (e una sta pure chiudendo). Le altre sono state trasformate in punti cassa automatici. Si appoggia il cestino con la spesa su un supporto, si passa il codice a barre di ogni prodotto sul lettore ottico, si legge il prezzo sullo schermo e si depositano gli articoli nel sacchetto. Ho già scritto tempo fa di quanto mi piacesse da piccola d'idea di fare la cassiera. Mentre un vigilante corpulento mi fa segno di avvicinarmi alla cassa 6 si fanno strada in me due emozioni contrastanti. La Marta di 7 anni e mezzo gongola e si domanda se quello non sia il suo giorno fortunato, la signora di 35 che sono in realtà si chiede a quanto ammonterà lo sconto per questo servizio fai-da-te.

Entrambe resteranno deluse. Passare scatole e bottiglie su un vetro e sentir fare bip non è emozionante come pensavo e i codici a barre sono sorprendentemente nascosti in un sacco prodotti. Sono circondata da coppie di vecchietti terrorizzate, che il guardiano delle casse rimbrotta dapprima bonariamente poi con tono sempre più secco: "Non mi deve togliere il sacchetto, sennò la macchina non le può fare il conto"; oppure: "Signora, il codice a barre! L'ha mai visto un codice a barreeeee?". Io sorrido angelica nella loro direzione, mi fingo più imbranata di quello che sono e strabuzzo gli occhi allargando le braccia come a dire: "Ma questi sono tutti matti, è chiaro che non potremo mai farcela da soli".

Quarantacinque minuti e un paio di attacchi d'ansia più tardi è il momento di pagare: infilo il bancomat in ogni pertugio dell'orrida macchinetta POS. Il chip non gli piace, la strisciata nemmeno. Il supervisore mi guarda ed è chiaro che prova per me un misto di pietà e disprezzo. Alla fine da una fessura spunta un simulacro di scontrino e io lo strappo e corro via, con zavorre e tutto, ma mi sono già resa conto che qui non è come alla pompa di benzina. Il fai-da-te, quello che lascerà a spasso una dozzina di cassiere nelle prossime settimane, e che alla Coop consentirà di tagliare una bella fetta di "costi fissi" a me non è convenuto proprio per niente. Nessuno sconto alla fine del calvario: ho solo regalato un po' di manodopera, lasciatemi dire un po' troppo qualificata, alla causa della Grande Distribuzione.

Foto: Flickr

3 commenti:

Franco Zaio ha detto...

Il fattore umano, nel mondo del lavoro e anche del commercio, è in estinzione, da quando a dettare legge è Excel, anzichè Word. Ogni ruolo, ogni competenza, si sta trasmutando in numero e quantità. La qualità non è contemplata, anzi non ha proprio senso, nel mondo dei grandi numeri.
Non dico altro, anche se venerdì scorso ho dato le dimissioni.
PS Grazie ancora per essere venuti al Lucrezia (ringraziamenti sul blog, comunque, riaperto ai commenti seppur moderati).

marta ha detto...

Dimissioni da Feltrinelli? Beh, che dirti, un gesto coraggioso in questo momento, ti auguro proprio tutti i cambiamenti che auspichi. Trasformare le librerie in supermercati non credo sia una mossa che paghi. Credo che ognuno dovrebbe essere messo in grado di far bene il proprio lavoro. Ma mentre lo scrivo mi rendo conto che questa è fantascienza.
Il concerto è stato bello e ci siamo proprio divertiti. Il Lucrezia poi è il luogo storico che ha ospitato una delle mie rarissime esibizioni live, non ti sto a dire quanti millenni fa!

Gloria Photos ha detto...

...e io c'ero a quella esibizione live! :D (sì, omettiamo quanti mila anni fa!).
quanto all'essere messi nelle condizioni di fare bene il proprio lavoro... ormai fantascienza davvero. baci marta! :D