mercoledì 3 marzo 2010

Controcorrente


E' tempo di mettere in discussione le mie convinzioni, tanto per vedere l'effetto che fa. Non è che me la sono andata a cercare, però sono stimoli che arrivano attraverso la Rete ed è difficile resistere.

Il primo è stato il libro di Jaron Lanier, pioniere, anzi forse meglio dire inventore della realtà virtuale, una specie di genio hippy, almeno dall'aspetto, che negli anni 70-80 era tra quelli che davano forma alle cose che ora stiamo vivendo. Il suo libro You are not a gadget (qui un estratto) è un manifesto per un nuovo umanesimo nell'era dell'intelligenza collettiva. L'assunto di base è che abbiamo cominciato ad adorare questa famosa saggezza delle folle come se fosse un'entità super-umana, mentre dimentichiamo che è formata da molti individui la cui importanza si va in qualche modo svalutando con l'aumentare del valore che diamo alla "cloud", la nuvola.

Concetti di fondo:
  • Devi essere qualcuno prima di poterti condividere;
  • Sono i computer a diventare sempre più intelligenti o siamo noi umani che abbassiamo le nostre pretese per farli sembrare più in gamba di quel che in realtà sono?
  • L'idea del web come motore di sviluppo della creatività (sogno di Lanier e altri ai primordi di internet) non potrebbe essere più sbagliata: tutta la blogosfera non fa che attingere contenuti dal mondo reale e dalla cultura offline (letteratura, tv, cinema) con un'operazione che alla lunga sarà auto-cannibalizzante (con buona pace degli amanti della fan-fiction e dei mash-up);
  • Wikipedia sarà anche una bella cosa, ma un sacco di siti specializzati in argomenti molto particolari sono stati aggiornati per l'ultima volto proprio quando l'enciclopedia online è nata: molta gente davvero esperta ha smesso di dare il proprio contributo individuale perché "tanto c'è il wiki", che compare quasi sempre tra i primi risultati di qualunque ricerca facciate;
  • Per quanto grande sia il numero di individui che decide di dedicare un po' del proprio tempo a un sito collaborativo di fisica non riuscirebbe a replicare i risultati neanche di un mediocre fisico, figuriamoci di Einstein;
  • Senza rischio economico non c'è bisogno di competenza. Per questo si può sfruttare la famosa intelligenza collettiva, che è gratis per trarne un potenziale profitto: chi lo farà sarà il Signore delle Folle.
Nota a margine. Il libro è pubblicato in un vezzoso formato vintage, con le pagine tagliate irregolarmente. Visto l'argomento del saggio la cosa ha un effetto davvero un po' passatista, ma quel che è peggio è che è impossibile da sfogliare: complimenti all'idiota che si è inventato questo strumento di marketing per bibliofili privi di pollice. Carino invece il sito di Lanier, la cui struttura e grafica sono volutamente rimaste identiche a quelle dei primi siti internet degli anni 90.

L'altro stimolo interessante riguarda l'ambiente e ci sono arrivata perché mi ha colpito il titolo dell'articolo di cui sto per parlarvi. In particolare il suo riferimento alle docce...
Forget shorter showers, ovvero Lasciate perdere le docce brevi, è una interessantissima dissertazione di Derrick Jensen, scrittore e ambientalista, sull'inutilità dello sforzo personale per la salvaguardia del pianeta.

Concetti di fondo:
  • Siamo vittime di una campagna di persuasione che ci invita a occuparci dei nostri consumi personali distraendoci dal vero obiettivo che dovrebbe essere quello di una resistenza politica organizzata.
  • Se ogni americano facesse alla lettera tutto ciò che il film di Al Gore, Una verità scomoda, suggerisce le emissioni di carbonio degli Usa calerebbero solo del 22%.
  • I veri inquinatori, i veri ladri di acqua (quella che le docce brevi del titolo contribuirebbero assai poco a salvare), i veri sperperatori di energia, i veri produttori di rifiuti non sono i consumatori ma la grande industria e i colossi commerciali, insomma le corporation e in generale i settori produttivi.
  • Accettiamo i rintuzzi su quello che ognuno di noi dovrebbe fare per salvare la Terra perché ci instillano il senso di colpa, ma così facendo incoraggiamo la tendenza a incolpare l'individuo invece del sistema.
  • Il concetto di inquinare meno, fare meno male al pianeta e tornare a uno stile di vita semplice può essere piacevole e non va certo rigettato, ma non è risolutivo a nessun livello: quel che bisognerebbe fare è lottare contro il sistema che davvero danneggia il posto in cui viviamo.
Nota a margine. Secondo me comprando tutti meno roba e rispondendo con minore entusiasmo alle sirene del marketing, compreso quello "green", contribuiremmo comunque a indebolire quel sistema che si basa proprio sui nostri consumi. Però l'idea del senso di colpa individuale che lascia il grande capitale indisturbato mi piace un sacco.

Comunque, per la cronaca, io continuo a chiudere il rubinetto quando mi insapono.

P.s. Prima di abbattere il grande capitale per salvare la Terra e vivere tutti nudi e felici, posso suggerire che l'e-commerce in Italia prenda esempio da Amazon Usa? Funziona da Dio, ordini, paghi con la carta di credito e ti mandano i libri, che ti arrivano perfettamente integri proprio quando ti avevano promesso che sarebbero arrivati. Non è ecologico, ma è molto appagante.

Foto: Flickr.

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