giovedì 6 marzo 2008

A letto col pc

Alla fine mi sono arresa e dopo due settimane di tosse, raffreddore, brividi e altro mi sono messa a letto. Ieri con un libro, l'interessantissimo Cultura convergente di Henry Jenkins (cui mi riprometto di dedicare un post a parte), oggi, tristemente, col mio pc. Mia sorella da Londra mi fa notare che nessuno è così indispensabile da non potersi concedere di star sotto le coperte per qualche giorno. Non ci avevo mai pensato in questi termini. Essere free-lance per me semplicemente significa lavorare sempre. E vista la data dell'ultimo post, capirete che in queste tre settimane ho lavorato molto.
La pausa di ieri mi ha fatto bene, ma oggi avevo due o tre cose da sbrigare a tutti i costi. Così ho fatto quello che nessun lavoratore autonomo che vive e lavora tra le stesse quattro mura dovrebbe mai fare: mi sono portata il lavoro in camera da letto.
Non c'è bisogno che vi spieghi a quali più piacevoli attività questo luogo deve essere sacralmente dedicato, ma è chiaro che mi riferisco al sonno dei giusti. Introducendo il computer in camera ho infranto un tabù millenario: ho annullato anche l'ultimo sottile confine tra casa e lavoro, costituito dalla porta che chiude lo studio, la stanza dove "la mamma va a lavorare, così non deve andare a Milano".
Lista di tabù che mi riprometto di non infrangere assolutamente:
  • lavorare in bagno
  • dormire in cucina (specialmente con pentole sul fuoco)
  • divertirmi nello studio (mah, qui non si può mai dire)
  • fare l'aerosol più spesso di mio figlio (infranto)
  • usare un videotelefono (non volete vedere, vi assicuro)
Ora vado: devo cambiare posizione prima che sopraggiungano le piaghe da decubito.

(Foto: Flickr)

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