venerdì 23 gennaio 2009

Il lento viaggio dell'Italia


Vado poco a Milano di questi tempi. Quando mi tocca, però, l'esperienza mi ha insegnato alcune cose:
- fare il biglietto il giorno prima per beccare la tariffa Amica (20% di sconto esclusa la prenotazione, obbligatoria): invece di 31 euro a/r spendo 25,20;
- prendere il treno un'ora prima di quel che mi serve: arriva in genere con un ritardo compreso tra i 45 e i 60 minuti. Quando il ritardo è sotto la mezz'ora, perdo comunque un quarto d'ora sul binario, intontita all'idea di essere in anticipo sui tempi previsti;
- avvisare la baby-sitter di non prendere impegni prima della mezzanotte: anche al ritorno i ritardi sono la prassi.
La mia amica Gloria è tornata da un viaggio in Giappone e mi ha parlato dello Shinkansen. Era come leggere un libro di Jules Verne. E in effetti tornare a Milano da Tokyo è l'equivalente che andare dall'Italia al Ghana. Con la differenza che noi sediamo fianco a fianco del Giappone alle riunione dei G8, alle quali i nostri rappresentanti riescono a partecipare solo perché evidentemente non vi si recano in treno.

Okay okay, il solito post che parla male delle Ferrovie...
I treni sono come i giardini pubblici, i marciapiedi, le sale d'attesa dei Pronto Soccorso: tutti si sentono in diritto di sputarci sopra, farci cagare il cane o, se sono dalla parte di chi fornisce un servizio, trattare l'utente nel migliore dei casi con sufficienza, nel peggiore a pesci in faccia. E in più si paga. I treni sono zozzi, vecchi, se funziona la luce centrale dello scompartimento non funziona il riscaldamento, se funziona il riscaldamento non funzionano le lucine dei singoli posti. Se funziona tutto e non ci sono zecche o altri invertebrati a occupare i sedili le opzioni sono quattro:
1) sei sul Cisalpino;
2) non ti trovi in Italia;
3) sei in Italia su un treno delle FS di quelli nuovi e poi ti risvegli nel tuo letto tutto sudato;
4) è il locomotore che è rotto.

Le motivazioni dei ritardi sono tra le più fantasiose, perché tanto chissenefrega anche se non vogliono dire niente.
"Si avvisa la spettabile clientela che il treno partirà con un ritardo di circa 20 minuti per cause tecniche al locomotore. Ci scusiamo per il disagio".
Quale disagio? Quello causato dai 20 minuti di ritardo, dall'uso criminale della lingua italiana o dal fatto che i 20 minuti diventeranno inesorabilmente 40?

I miei amici pendolari hanno la loro da dire:
"Ora, non si pretende un miglioramento (nei ritardi n.d.r.), ma almeno si assestassero. Invece va sempre un pochino peggio", dice uno.
"E' l'alta velocità", gli fa eco l'altro, "ora si concentrano su quella e il resto chissenefrega":
Ah, cioè si concentrano sull'alta velocità?
Il sito del Secolo XIX ha una pagina in cui tutti i giorni pubblica un riassunto dei ritardi totalizzati da 100 treni il giorno prima. Lo so, è come fermarsi a guardare le ruspe per strada o leggere i necrologi, però...

Foto: Flickr

2 commenti:

Franco Zaio ha detto...

Mi avevano offerto di lavorare a Milano. La prospettiva del pendolare mi ha fatto dire "No, grazie". Una mia amica giapponese mi ha detto che se un treno ritarda di qualche minuto da loro va sul giornale, come notizia incresciosa. Sono pazzi loro che sono così, o noi a tollerare e mugugnare?

marta ha detto...

Secondo me il modo in cui funzionano le Ferrovie è il modo in cui funziona l'Italia. Sono considerate un mezzo di serie B solo perché in sostanza sono una cosa pubblica. In Gran Bretagna, del resto, la privatizzazione è stata un disastro: tutti a far belli i treni e nessuno a fare la manutenzione delle rotaie. Ma quando ti dicono che tra Genova e Tortona stai andando a passo d'uomo perché i binari sono "scivolosi causa pioggia" ti domandi se a noi non tocchi davvero il peggio di tutti i sistemi. I pendolari non si limitano a mugugnare, danno battaglia. Ma dall'altra parte, purtroppo per loro, c'è un muro di gomma.