giovedì 23 ottobre 2008

Celebrity


Da bambina volevo essere come Heather Parisi. Era bellissima, bravissima, simpaticissima. Indossava certe tutine maculate che se fossero messe all'asta me le comprerei ancora oggi. Aveva splendidi capelli biondi e bellissime gambe che usava, tra le altre cose, per fare mitiche spaccate verticali, delizia dei miei sabati sera casalinghi. Erano casalinghi perché avevo tipo otto anni, e al momento del balletto mi mettevo a ballare anche io, scuotendo la testa e improvvisando spaccate a mezz'aria. Ma come facevano i miei a sopportarmi? E perché proprio quelli erano gli unici momenti in cui mia sorella non cercava di uccidermi? Vivevo il mio sogno e forse tutti loro lo capivano e sorridevano bonari delle mie performance.
Fast forward non fatemi dire di quanti anni (meno di trenta ma più di venticinque), leggo preoccupata sui giornali che la tv, oggi come allora, è il demone in salotto, causa di tutti i mali. Comportamenti violenti, apatia galoppante e soprattutto pessimi esempi per i nostri figli.
Una robusta cura a base di Heidi e Puffi ha ricacciato fuori dalla mente di mio figlio gli orridi Power Ranger, perciò non ho altro da temere, mi dico. Sono esempi positivi e rassicuranti, poca tv, scelta da noi. Sto a posto.
La sorpresa è che quando non puoi ispirarti alla tv, che fai? Prendi spunto dalla vita reale. Succedeva anche a me quando, spente le luci del varietà, smettevo di essere una snodata sventolona e mi trasformavo alla velocità della luce nella cassiera del supermercato. Erano i bei tempi in cui ancora pigiavano i prezzi sui tasti, niente a che vedere coi lettori ottici: chissà che code... comunque mi piaceva. Mi sembrava una persona autorevole e adoravo la meccanicità del suo lavoro, il modo cortese ma leggermente svogliato con cui comunicava il totale, la sensazione che avesse sempre qualcos'altro di meglio da fare ma decidesse comunque ogni mattina di trascinarsi alla cassa della Superette per il bene dell'umanità.
Mio figlio gioca, parla tra sé e scopro che ripete come una specie di mantra: "Signore ce l'ha una monetinaaaaaaa? Grazie comunque e buona giornataaaaaaaaaaaaa". E' il ragazzo che chiede gli spicci sulla strada da e per la scuola. Cortese, urbano, direi che sembra uno che se la passa discretamente. Certo non veste firmato, però ho l'impressione che si faccia ogni tanto lo shampoo ai lunghi capelli castani, e il maglione che indossa è un po' liso ma decoroso. La chiave di tutto è il tono professionale, più da pubbliche relazioni che da elemosina, con cui chiede, ringrazia se dai, e ringrazia anche se non dai.
Mio figlio ha per lui una forma di ammirazione. Lo cita nei suoi giochi, lo vuole impersonare, vuole fare a turno a chi dà gli spicci e a chi li rifiuta. Un po' come quando a due anni voleva fare il musicista e come prima cosa si procurava la coppetta in cui mettere le monete dei passanti.
A essere onesta devo dire che quando ha messo piede su un camion dei pompieri ha affermato di voler fare il pompiere e quando è andato dall'oculista voleva fare l'oculista. Non ha ancora invece esplicitato il desiderio di fare il mendicante, perché non capisce bene di che si tratti.
Comunque oggi io e lui abbiamo giocato al Superenalotto e ci avanzava un euro. Il maître à penser di mio figlio era proprio fuori dalla ricevitoria e così abbiamo pensato di darlo a lui. Noi non abbiamo vinto niente, ma potergli dare quest'obolo ha reso un quasi cinquenne estatico.
Foto: Flickr

1 commento:

Anonimo ha detto...

In effetti alcuni programmi non sono per piccoli, ma per adolescenti. E forse anche più. Nella serie Gekiranger, la versione giapponese e ben fatta dei power ranger Jungle fury, nella penultima ed ultima puntata 2 protagonisti perdono la vita. Un tema adulto, diciamo.